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Fondi pensione e Tfr: chi vince la sfida dei rendimenti

Ancora una volta gli strumenti della previdenza complementare - fondi pensione e pip assicurativi - vanno meglio del Tfr. Nel 2021, infatti, le performance dei primi sono state nettamente migliori, anche senza considerare i benefici fiscali sui quali possono contare.

A cura di: Luigi Dell'Olio
A cura di: Esperto di prodotti finanziari
Si laurea in Giurisprudenza e diventa in seguito giornalista professionista, specializzandosi in economia e finanza. Collabora con primarie testate italiane, tra cui “la Repubblica” e “Affari&Finanza”. È inoltre coordinatore del mensile “Private” e autore per Segugio.it.

linea editoriale Segugio.it
Tempo di lettura 2 minuti
Pubblicato il 07/03/2022
barattolo pieno di monete con scritta pension

Anche nel 2021 i fondi pensione hanno assicurato un rendimento superiore a quello del Tfr. Un dato da tenere in considerazione al momento di scegliere la forma di previdenza integrativa più indicata, a maggior ragione oggi che si profila una riforma della materia.

I risultati

Lo scorso anno i fondi pensione negoziali hanno ottenuto una performance media del 4,9% e quelli aperti del 6,4%, ma se si guarda a quelli a maggiore contenuto azionario la media è stata del 18,9%. Questo a fronte del 3,9% che ha costituito la rivalutazione del Tfr.

Il vantaggio a favore dei primi è netto anche se si guarda al lungo periodo. Dal 2011 al 2021, infatti, i fondi negoziali hanno reso in media il 4,1% e quelli aperti il 4,6%, mentre la rivalutazione del Tfr è stata limitata all’1,9%.

Detto del passato, ovviamente questo non offre alcuna garanzia per il futuro, ma solo indicazioni. Di certo c’è che l’inflazione elevata che sta caratterizzando gli ultimi mesi potrebbe favorire la scelta del Tfr, dato che la rivalutazione annua è dell’1,5% più il 75% dell’incremento dell’inflazione.

Le differenze tra i vari strumenti

Attualmente le iscrizioni alla previdenza complementare ammontano a 9,7 milioni, ma se si depura il dato dalle iscrizioni multiple si arriva a 8,8 milioni di lavoratori, all’incirca un terzo del totale. La stragrande maggioranza degli aderenti (7 milioni circa) lavora nel settore privato e in questo ambito metà degli aderenti ha scelto un fondo pensione negoziale, cioè uno di quelli riservati solo a lavoratori che sono inquadrati in determinati contratti collettivi, o aziende che hanno il vantaggio ulteriore di contare su un contributo del datore di lavoro. Sono invece circa 1,7 milioni gli iscritti ai fondi pensione aperti, cioè quelli istituiti da banche, società di gestione del risparmio o Sim. Poco più di 600mila sono gli iscritti ai fondi che esistevano già prima del 2005, quando è stata introdotta la norma del silenzio assenso (nel secondo caso il dipendente del settore privato viene iscritto automaticamente al fondo di categoria). Il resto fa capo ai Pip, piani individuali pensionistici, istituiti dalle compagnie di assicurazione. Si tratta di fatto di polizze vita, per cui in seguito a versamenti periodici a una certa età comincia l’incasso del capitale con relativo rendimento.

Il favore del legislatore

Consapevole della crescente difficoltà che caratterizza l’Inps, il legislatore ha messo a punto una normativa di favore per chi preferisce soluzioni di previdenza complementare alla rivalutazione del Tfr. I versamenti sono deducibili fino a 5.164,57 euro all’anno, il che significa che si riduce in egual misura il reddito sul quale calcolare le imposte Irpef. Inoltre, sui rendimenti dei fondi pensione si applica un prelievo del 20% contro il 26% degli altri strumenti finanziari. Ferma restando in entrambi i casi l’aliquota agevolata del 12,5% per la componente di portafoglio investita nei titoli di Stato. Immaginando di sottoscrivere un fondo bilanciato, l’aliquota sulle performance si aggira intorno al 14-15%, contro il 17% di prelievo sul rendimento del Tfr lasciato in azienda.

I vantaggi si estendono anche alla fase di erogazione dalla pensione. Il Tfr accantonato in azienda è soggetto a tassazione separata, con l’ammontare maturato che va moltiplicato per dodici e quindi diviso per gli anni di servizio. Sul valore ricavato si applica l’aliquota Irpef media dei cinque anni precedenti la cessione dell’attività. Mentre per la previdenza complementare l’aliquota massima è del 15% e cala dello 0,3% per ogni anno di iscrizione successivo al quindicesimo, fino a un minimo del 9%. A conti fatti, il prelievo fiscale può essere anche dimezzato rispetto al Tfr.

Riforma in vista

Da tempo si discute di nuove misure legislative per favorire la diffusione della previdenza integrativa, soprattutto per offrire una maggiore copertura ai giovani che si trovano a fare percorsi di carriera discontinui. Tra le proposte più gettonate c’è la possibile di introdurre un nuovo semestre per il silenzio-assenso che dovrebbe essere caratterizzato da una forte campagna istituzionale di informazione per favorire le adesioni. Probabile anche che vengano rafforzati gli incentivi per le adesioni dei lavoratori under 40 e si apra alla possibilità che i fondi pensione investano anche in aziende non quotate, che nel lungo termine possono offrire rendimenti superiori alla media.

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